venerdì 29 ottobre 2010

I doni dei Morti


Quando ero piccolo io, non esisteva la festa di Halloween. E i regali non li portava Babbo Natale: i regali li portavano i Morti, nella notte tra l'1 e il 2 Novembre. Non dei morti qualunque, ovviamente, ma i nostri morti, ovvero quei parenti defunti che non avevamo fatto in tempo a conoscere: bisnonni, zii dai nomi misteriosi, addirittura qualche trisavolo. Quando avevano tempo e voglia i miei organizzavano una specie di caccia al tesoro al termine della quale trovavamo una serie di pacchetti su cui, con grafia tremolante, era scritto il nome del mittente: a volte si trattava di nonna Ninetta, a volte di nonno Bastiano. Ad ogni scoperta seguiva qualche parola di ricordo e qualche aneddoto familiare. I morti di mio padre erano più avari di regali (mio padre era meno incline a queste fantasie), ma un pupo di zucchero da parte di mio nonno Santoro arrivava spesso, forse grazie alle opere di mia madre. Poi ci munivamo di mazzi di crisantemi, di un bidoncino pieno d'acqua, del cappotto (era la prima volta nella stagione che lo indossavamo), e andavamo al cimitero a ringraziare gli stessi che ci avevano mandato i regali.
Ho sempre trovato questa tradizione più bella dello scialbo Natale: da un paio d'anni cerco anche di mantenerla in vita nella mia famiglia.

1 commento:

  1. C'è qualcosa di profondamente siciliano in questa tradizione, che per la mia sensibilità settentrionale è eccezionalmente inquietante: i morti, persone che magari, anche se sei un bambino, hai avuto occasione di conoscere, sfilano di notte in salotto e lasciano non solo regali, ma addirittura testi scritti, "con grafia tremolante" (sennò che morti sarebbero? Persino nell'Odissea i morti devono vincere la loro stanchezza, quando comunicano con i vivi). Io ricordo bene come anche l'arrivo notturno della Befana, questa vecchia invisibile che lasciava però tracce così visibili mentre noi dormivamo, mi dava non solo gioia per i regali, ma anche un sentimento strano che poi, dopo aver letto Freud, ho potuto chiamare "unheimlich". Ma questo unheimlich era niente in confronto a quello che mi sarebbe arrivato da un contatto con i defunti, mediato dai giocattoli o dai dolciumi.
    E allora ci vuole una particolare confidenza con la morte, come mi sembra che sia nella cultura siciliana, per trovare naturale tutto ciò. Questa differenza di tradizioni non è solo una variante locale, ma ha radici molto profonde in un dissidio culturale che raggiunge i livelli più creaturali dell'esistenza. (Ora che ci penso, anche il più tipico umorismo siciliano dimostra sempre, verso la morte, una spregiudicatezza scandalosa che disorienta i non isolani. Naturalmente tutto ciò non ha niente a che fare con la criminalità, ma piuttosto con una cultura plurimillenaria.)

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