venerdì 24 dicembre 2010

Buon Natale!


Come ho già avuto modo di raccontare, nella mia famiglia Babbo Natale non portava i doni il 25 Dicembre. A casa nostra si faceva il presepe, e l'albero di Natale era una stranezza esotica che si trovava solo nelle case più moderne. L'esistenza (o meglio, la non esistenza) del vecchietto vestito di rosso era qualcosa che avevamo studiato sui libri, ma che non ci appareneva: del resto, sempre sui libri, ci dicevano che a Natale cadeva la neve, ma chi l'aveva mai vista la neve dalle nostre parti?
Natale rimaneva una festa religiosa, si rimaneva alzati fino a mezzanotte per scoprire il Bambinello fino ad allora nascosto nella bambagia (non andavamo alla Messa di mezzanotte: mia madre temeva il freddo) e il giorno dopo si andava si andava in chiesa e poi a mangiare dai nonni, dove mia nonna aveva preparato quella che lei chiamava pasta alla Bolognese, ovvero con un ragù senza pomodoro. Per questo motivo, tutta la retorica del Natale di provenienza nordica mi è sempre rimasta un po' estranea.
Questo ovviamente non mi impedisce (anzi!) di augurare un felice Natale ai miei due o tre lettori (non metaforici!)

mercoledì 3 novembre 2010

Ziki Paki Ziki Pu


Tra i 78 giri che si trovavano a casa di mia madre, c'era un titolo curioso che aveva attirato la mia attenzione: Ziki Paki ziki Pu.
Più giù trovate il testo: come vedrete si tratta di uno dei testi più razzisti, maschilisti e scurrili che io conosca. Mia madre, dopo aver ascoltato il disco, mi confessò candidamente che all'epoca lei non si accorgeva né del razzismo né dei numerosi doppi sensi.
La canzone, di Mascheroni, ebbe una certa popolarità, e venne ripresa tra gli altri da Narciso Parigi, Nicola Arigliano, dai Gufi e dall'immancabile Paolo Poli.

Sorprende vedere come, in tempi così bui e tristi come quelli in cui viviamo, i concetti in essa espressi non siano stati ripresi da qualche esponente della attuale maggioranza per giustificare, scusare o adidrittura esaltare le imprese del capo.

Ecco il testo:

Ziki-Paki era nata fra gli indù,
era figlia del gran capo di laggiù.
Bella bajadera, piccola e leggera,
somigliava al padre Ziki-Pu.

Ma un bel giorno, non so proprio come fu,
Ziki-Paki s’è trovata a tu per tu
con un tipo strano, era un italiano:
Ziki-Paki non ci vide più.
Disse: “Tu, proprio tu,
o mi baci oppur lo dico a Ziki-Pu”.

Ah, Ziki-Paki o Ziki-Pu,
l’italiano non ci stette a pensar su.
Se la prese per la mano,
la condusse più lontano
sotto un albero, laggiù:
“Dimmi il tuo nome, o bella indù”.
“Ziki-Paki sono e non scordarlo più!”.
E per meglio ricordar,
tosto lui si mise a far
“Ziki-Paki, Ziki-Paki, Ziki-Pu!”.

L’italiano spesso si recò laggiù
a trovar la bella figlia dell’indù.
Ma l’ardore passa, lei divenne grassa,
Ziki-Paki lui non vide più.
Ma in sua vece un giorno venne un grosso indù
con un bel marmocchio di color caucciù.
“Questo signorino esser tuo bambino.
Presto, fila e non tornare più!”.
E il caucciù, come fu,
somigliava tutto al nonno Ziki-Pu.

Ah, Ziki-Paki o Ziki-Pu,
l’italiano non ci stette a pensar su.
Se lo prese piano piano,
lo portò lontan lontano
al paese suo laggiù.
Appena giunto, disse:“Orsù,
dopo tutto è un italiano che c’è in più”.
E a chi stava a domandar
rispondeva: “Fu per far
Ziki-Paki, Ziki-Paki, Ziki-Pu!”.

Meglio un bimbo mezzo indiano
che passar la vita invano
senza eredi su per giù.
E, se la moda di lassù,
la nazione a popolar non pensa più
si può sempre ricordar
la canzone che sul far
“Ziki-Paki, Ziki-Paki, Ziki-Pu”!

martedì 2 novembre 2010

Biancaneve


Regnava su di un paese lontano una regina la cui bellezza era pari alla durezza e freddezza del suo cuore. Coltivava le arti magiche, e possedeva uno specchio fatato che spesso interrogava:
-Specchio, servo delle mie brame, chi è la più bella del reame?
Invariabilmente lo specchio rispondeva: sei tu, o mia regina.

Viveva nello stesso castello una bambina, figlia di primo letto del vecchio Re, a cui per la straordinaria bellezza dell'incarnato era stato dato il nome di Biancaneve. Biancaneve cresceva in salute del tutto ignorata dalla malvagia regina, finché un giorno questa, scoprendo improvvisamente la grazia ed la bellezza della figliastra, folle di gelosia decise di evocare ancora una volta lo spirito dello specchio.

-Specchio, servo delle mie brave chi è la più bella del reame?
E lo specchio rispose ancora una volta: Sei tu o mia Regina
- Ma come, e Biancaneve?
- Ma mia signora, rise lo specchio, come può paragonare una sciacquetta scipita come Biancaneve con una signora ricca di fascino come lei? Sappiamo bene che su di lei gli anni non pesano, e che lei dimostra (oh, mi lasci guardare) al massimo 15 anni. E poi il colore dell'occhio, la perfezione dell'ovale, la linea delle labbra, la morbidezza delle sue forme sono tutte cose che rendono improponibile un qualsiasi paragone con quel ranocchietto di principessa, mi creda.

La Regina se la bevve ancora una volta, e vissero tutti felici e contenti.

sabato 30 ottobre 2010

Cappuccetto Rosso


C'era una volta una bambina che indossava sempre una mantellina con un cappuccio rosso, e che per questo motivo era chiamata Cappuccetto Rosso. Un giorno la sua mamma la chiamò e le disse: "Mia cara bambina, la tua nonnina è a letto malata: dovresti per favore portarle un cestino di roba da mangiare perché non è in grado di provvedere a sé stessa". Cappucceto Rosso guardo la mamma e le disse: "Mamma, o che tu sei grulla? O che non lo sai che per andare dalla nonna bisogna passare dal bosco e che nel bosco c'è il lupo cattivo?" E la mamma rispose:"Ma no, che sei tu la grullarella: o che credi ancora a queste fole del lupo cattivo? Prendi il cestino, metti la mantellina e per favore vai dalla tua nonnina". E così Capuccetto Rosso prese la strada del bosco, dove trovò il lupo che se la mangiò. Fine della fiaba.

venerdì 29 ottobre 2010

I doni dei Morti


Quando ero piccolo io, non esisteva la festa di Halloween. E i regali non li portava Babbo Natale: i regali li portavano i Morti, nella notte tra l'1 e il 2 Novembre. Non dei morti qualunque, ovviamente, ma i nostri morti, ovvero quei parenti defunti che non avevamo fatto in tempo a conoscere: bisnonni, zii dai nomi misteriosi, addirittura qualche trisavolo. Quando avevano tempo e voglia i miei organizzavano una specie di caccia al tesoro al termine della quale trovavamo una serie di pacchetti su cui, con grafia tremolante, era scritto il nome del mittente: a volte si trattava di nonna Ninetta, a volte di nonno Bastiano. Ad ogni scoperta seguiva qualche parola di ricordo e qualche aneddoto familiare. I morti di mio padre erano più avari di regali (mio padre era meno incline a queste fantasie), ma un pupo di zucchero da parte di mio nonno Santoro arrivava spesso, forse grazie alle opere di mia madre. Poi ci munivamo di mazzi di crisantemi, di un bidoncino pieno d'acqua, del cappotto (era la prima volta nella stagione che lo indossavamo), e andavamo al cimitero a ringraziare gli stessi che ci avevano mandato i regali.
Ho sempre trovato questa tradizione più bella dello scialbo Natale: da un paio d'anni cerco anche di mantenerla in vita nella mia famiglia.

lunedì 4 ottobre 2010

I'm Popeye the sailor man

Oltre all'opera, due delle mie grandi passioni sono il Popeye di Segar e quello animato dai fratelli Fleischer.
Questo è uno degli episodi che preferisco:

venerdì 24 settembre 2010

Un anno particolare....

Negli ultimi 365 giorni tra le persone a me più vicine posso contare 9 ricoveri (non necessariamente per motivi spiacevoli), tre interventi, due decessi, una nascita. Scusate se è poco.

mercoledì 15 settembre 2010

Andrea Chénier


Un paio di giorni fa, dovendo affrontare un breve viaggio, ho iniziato a spulciare gli scaffali cercando un cd da ascoltare. Dopo aver vagato tra Rossini e Mercadante, preso da un raptus improvviso, mi son diretto verso l'Andrea Chénier. Scartato Pavarotti, visto che la vecchia incisione di Gigli era nascosta chissà dove, ho scelto la classica Del Monaco Tebaldi Bastianini Gavazzeni. Il fatto è che nei primi anni della mia giovinezza, diversi lustri fa, lo Chénier era opera di repertorio al pari di Tosca, Traviata e Rigoletto: non vi era tenore che non avesse inciso una o più delle tre arie, né baritono che non si fosse cimentato nel "Nemico della Patria", e i soprani facevano a gara nelle impennate spericolate di "La mamma morta".
Una delle prime opere che seguii fu, in tv, una ripresa del vecchio film con Del Monaco, Antonietta Stella e Bastianini: ricordo che piazzai un registratore davanti alla tv per riascoltare a mio piacimento.
Un mio zio, dalla bella voce poco coltivata, si sgolava nell'improvviso cercando faticosamente l'acuto sulla parola amor. Nella stagione d'opera all'aperto della mia città Chénier era poi uno dei pezzi forti, e lo vidi una o forse due volte. Poi pian piano l'oblio: il titolo cominciò a scomparire dai cartelloni, ed anche dai miei ascolti, sostituito da Rossini ed Haendel, e non bastò una ripresa del Comunale di Bologna, con la coppia Armiliato-Dessì e regia di Del Monaco Jr, a farmi ridestare l'interesse.
All'ascolto devo dire di non essere rimasto deluso: ho verificato con stupore e compiacimento di ricordare bene tutta l'opera, ed una volta verificato che il primo atto non è il Rosenkavalier, che il duetto finale non è Tristano, e che anche il duetto soprano-baritono del terzo quadro è inferiore a quello della Tosca (analogo per situazione drammatica, bisogna dire che la scrittura di Giordano è più raffinata di quella di Mascagni, che il suo linguaggio è meno crudo di quello di Leoncavallo, e che infine l'opera tiene, anche se fa un po' la figura di quei vecchi soprammobili che si trovavano a casa delle nonne, come il calamaio a forma di busto di Dante o il pastorello di porcellana, reliquie di un gusto che non ci appartiene più.

martedì 24 agosto 2010

Nomi di famiglia


Mio nonno paterno si chiamava Santoro. No, non Santoro di cognome: Santoro di nome. Raccontava che l'impiegato all'anagrafe, piemontese poco avvezzo al dialetto (quando nacque l'Italia aveva solo 22 anni, Garibaldi e Vittorio Emanuele II erano morti da uno e gli Italiani erano tutti da fare) cercò di tradurre in "Santoro" l'indecifrabile "Saroro" che mio bisnonno Michele aveva scelto per lui. Saroro, in realtà, stava per Isidoro, o così almeno convennero mio padre e mia madre al momento di scegliere il nome per il loro primogenito, sottraendosi elegantemente alla tradizione che imponeva al primo figlio maschio il nome del nonno paterno. Nonno Santoro morì un mese prima della mia nascita: per questo non ho nessun ricordo. Di certo, doveva essere un uomo d'altri tempi: una foto risalente agli anni '50 lo ritrae in un abito già antico per làepoca. Muratore per tutta la vita, emigrato in Francia, combattente durante la prima guerra mondiale: sono tutte notizie riferite da mio padre alle quali purtroppo non sono riuscito a trovare alcun riscontro. In famiglia non navigavano nell'oro, ma non facevano neanche la fame: quattro figli da sfamare non consentivano agiatezze. Di lui non mi rimane molto: qualche foto sbiadita, e un nome difficile da portare.

giovedì 27 maggio 2010

Vecchie glorie


Il signore il cui volto troneggia in cima a questa pagina è il mio bisnonno Michele, morto nel 1904, capostipite di una dinastia di muratori.
Vuole la leggenda che il monumento sia stato scolpito su cemento dai ragazzi della sua impresa, e successivamente dipinto color bronzo. Raccontavano di come la gente andasse di notte a raschiarlo col coltellino per verificare che la patina fosse solamente superficiale. Questa storia circolava in famiglia, ma la sentii rievocare da un perfetto sconosciuto, che scoprii successivamente aver lavorato con mio nonno, mentre facevo la coda per una Bohème. Certamente è un ritratto parlante, di un realismo impressionante: non si vede bene dalle foto, ma sono stati riprodotti anche dei bottoni "saltati" nel panciotto, ed il farfallino è per metà dentro e per metà fuori dal colletto della giacca, segno di una certa trascuratezza nel vestire del bisnonno che l'ignoto autore ha voluto riprodurre con affetto.
Quando mi capita di entrare nel vialetto del cimitero di Trapani, non manco di cercare il suo sguardo
Altre foto si trovano qui.

venerdì 7 maggio 2010

Il decreto Bondi

Non è vero che la cultura non interessa a nessuno: se fosse davvero così non si profonderebbero tante energie per la sua totale distruzione.

giovedì 25 marzo 2010

Auguri a Magda Olivero!
Il pensiero che il suo debutto risale al 1932, quando Gigli, Lauri Volpi, Schipa, Ponselle, Muzio erano in carriera mi fa venire un leggero senso di vertigine.
Qui canta nel finale del secondo atto di Tosca, la scena dell'assassinio di Scarpia.
Il filmato è uno spezzone del film RAI del 1960, quando la RAI era ancora la RAI.




Su Youtube si trova anche questo filmato sfocatissimo di una rappresentazione di Mefistofele del 1976. Il luogo non è specificato.