domenica 18 gennaio 2015

La leggenda di Sigfrido

Non so per quale motivi scelsi proprio quel libro, nella libreria delle suore Paoline che tuttora si trova al piano terra del palazzo del vescovado: avevo l'abitudine di scegliere lì i miei acquisti, approfittando delle volte in cui accompagnavo mia madre a comprare Famiglia Cristiana (allora quel giornale non si trovava in edicola) e già in precedenza avevo comprato letture per me fondamentali, come ad esempio "Eroi in Pantofole", pieno di deliziose filastrocche su famosi personaggi storici:

"Con la gran rivoluzione 
venne sù Napoleone.
Era un semplice soldato
ma ben presto fu notato:
prese i gradi di sergente,
capitano, poi tenente,
maresciallo, imperatore!"

Avevo acquistato lì anche il mo primo libro sul corpo umano, comprensivo di un paio di pagine di ecudazione sessuale (seppure anatomicamente approssimativa).
Quella volta, non so perché, comprai un libro intitolato "La leggenda di Sigfrido". Forse perché aveva un drago in copertina, chissà;  fatto sta che a casa nostra i miti nordici erano sconosciuti: mia madre ci addormentava con le storie dell'Olimpo, in versione greca o latina non importa, e di Wotan e Freia non sapevamo nulla. Non conoscevo allora nemmeno la versione supereoristica del mito di Thor edita dalla Marvel.
Il libro rimase intonso qualche mese, poi lo divorai. Era una storia strana di dei, nani, draghi ed eroi, molto diversa da quelle cui ero abituato.
Mi ci vollero alcuni anni, quasi dieci, prima che mi rendessi conto che quella che avevo letto era il racconto della trama del Ring di Wagner: una trama riscritta per bambni, del tutto priva dell'elemento sessuale, ma in compenso ricca di quegli aspetti favolistici e avventurosi che garantiscono il fascino alla Tetralogia (e sì, c'era pure scritto nell'introduzione, ma a me bimbetto di nove-dieci anni il nome di Wagner non diceva assolutamente nulla).
Ho ritrovato di recente questo libro, e l'ho parzialmente riletto: rimane sempre molto bello, anche a distanza di anni, anche se la prosa elegante ma antiquata (il libro fu pubblicato nel 1934) ne rende laboriosa la lettura. Mi sono comunque reso conto che resta tuttora la principale fonte della mia conoscenza della storia del Ring, nonostante le ore passate a leggere libretti, ascoltare musica e decifrare sotto- e sopra- titoli.
L'autore, Edoardo Mottini, instancabile divulgatore per ragazzi delle maggiori opere letterarie, era morto proprio in quel 1934 quando uscì la prima edizione, e scopro adesso essere stato anche l'autore dei testi di quel volume della Scala d'Oro dedicato alla Bibbia, di proprietà di mia madre, e da me più volte letto.
Chissà se è stato per questo che tra i tanti libri possibili sno stato indirizzato proprio su quello.

martedì 27 settembre 2011

Versioni di riferimento



- Perché quella ha un cuscino sul sedere?

- E' una delle sorellastre di Cenerentola.

- E Cenerentola è questa? Mamma che brutta!

- Ma non nell'opera non importa l'aspetto, l'importante è che la voce sia quella giusta.

- E questa è la voce giusta? Sembra un uomo.....

- Si, perchè a Rossini piacevano le voci scure.

- E questo chi è?

- Il Patrigno.

- Patrigno? Ma non era una matrigna?

- Si, ma qui c'è un patrigno.

- E la fata?

- Non c'è la fata, c'è un precettore che porta i vestiti per fare venire Cenerentola
al ballo.

- ... dove perde la scarpetta.....

- Non c'è la scarpetta, c'è un braccialetto.....

- ....un braccialetto?
- ......

- ...preferisco quella di Disney....

martedì 25 gennaio 2011

Lezione di inglese

Provate a guardare questo video rimanendo seri.....

lunedì 24 gennaio 2011

Nonna Teresa


La mia nonna materna, nonna Teresa, era nata a Trapani nel 1890. La famiglia possedeva una fornace, di cui posseggo una foto, in cui venivano prodotte terracotte (ne conservo ancora uno o due esemplari). Probabilmente fu alla fornace che mia nonna conobbe mio nonno Santoro. Quando nacque mio padre, ultimo di cinque figli, mia nonna era avanti in là con gli anni per gli standard dell'epoca (aveva 39 anni): per questo, quando la conobbi, era già abbastanza anziana. Alla morte del marito, nel 1965, aveva chiuso la camera da letto matrimoniale e si era ritirata a dormire in una stanzina assieme alla figlia maggiore, nel letto che fino a poco prima era stato di mio padre. Nei miei ricordi, lei era già un po' via con la testa: aveva smesso di uscire, e trascorreva le giornate a guardare fuori dalle persiane con lo scaldino sulle ginocchia. Quando io e mio fratello la andavamo a trovare, ci accoglieva immancabilmente con la frase"Un faciti dammaggio!" (non fate danni!) e cercava di piazzarci davanti alla televisione: invano, perché ovviamente io e mio fratello non vedevamo l'ora di andare in giro per casa curiosando e tutto toccando. Nonna si disperava e continuava a rioeterci: "Mi! Chi focu vivu!" oppure "Siti scucivoli!" (ovvero difficili da cuocere, ). Alla morte di mia zia rimase da sola, accudita da mio padre e suo fratello e da un amico di famiglia che le portava ogni giorno un po' di spesa. Un giorno questo amico ebbeun piccolo imprevisto che lo fece ritardare. Non so cosa scattò allora nella testa della nonna: fatto sta che si vestì ed uscì per andare a prendere il pane. E non fu capace i ritrovare la strada di casa. Mio padre venne avvisato dalla scomparsa di mia nonna che era ancora al lavoro, intorno all'una. Subito corse a cercarla, e la ritrovò in questura, seduta in una sedia con il pane sotto braccio. Una macchina della polizia l'aveva notata e prelevata. "Mi hanno portato in questa chiesa, ma le funzioni sono terminate" fu quello che disse a mio padre. meno di un anno dopo, cadde e si ruppe l'anca. Eravamo appena arrivati a Sciacca per una breve vacanza: mio padre fece appena in tempo a scaricare i bagagli e tornò indietro di corsa. In quei tempi la rottura dell'anca era un evento fatale: se ne andò dopo pochi mesi.

sabato 1 gennaio 2011

Felice 2011!

Questo 2011 musicalmente comincia bene: nel bel mezzo di un concerto di capodanno locale gradevole ma non indimenticabile ha fatto capolino un giovane tenore dalla voce e personalità promettente: si chiama Juan Francisco Gatell, ed ha una voce come quelle che usano adesso, molto vibrante e timbrata in alto e vuotine negli acuti, ben manovrata (anche se nei piani sembra perdere controllo e immascheratura) e soprattutto fantasia nel fraseggio e capacità di catturare il pubblico.
Ha ben cantato Dalla Sua Pace e Una furtiva lagrima, e si è fatto valere anche in altre pagine di Elisir e Cenerentola.
Ho trovato questo su youtube: ma dal vivo mi era parso meno prudente e più elettrizzante.

venerdì 24 dicembre 2010

Buon Natale!


Come ho già avuto modo di raccontare, nella mia famiglia Babbo Natale non portava i doni il 25 Dicembre. A casa nostra si faceva il presepe, e l'albero di Natale era una stranezza esotica che si trovava solo nelle case più moderne. L'esistenza (o meglio, la non esistenza) del vecchietto vestito di rosso era qualcosa che avevamo studiato sui libri, ma che non ci appareneva: del resto, sempre sui libri, ci dicevano che a Natale cadeva la neve, ma chi l'aveva mai vista la neve dalle nostre parti?
Natale rimaneva una festa religiosa, si rimaneva alzati fino a mezzanotte per scoprire il Bambinello fino ad allora nascosto nella bambagia (non andavamo alla Messa di mezzanotte: mia madre temeva il freddo) e il giorno dopo si andava si andava in chiesa e poi a mangiare dai nonni, dove mia nonna aveva preparato quella che lei chiamava pasta alla Bolognese, ovvero con un ragù senza pomodoro. Per questo motivo, tutta la retorica del Natale di provenienza nordica mi è sempre rimasta un po' estranea.
Questo ovviamente non mi impedisce (anzi!) di augurare un felice Natale ai miei due o tre lettori (non metaforici!)

mercoledì 3 novembre 2010

Ziki Paki Ziki Pu


Tra i 78 giri che si trovavano a casa di mia madre, c'era un titolo curioso che aveva attirato la mia attenzione: Ziki Paki ziki Pu.
Più giù trovate il testo: come vedrete si tratta di uno dei testi più razzisti, maschilisti e scurrili che io conosca. Mia madre, dopo aver ascoltato il disco, mi confessò candidamente che all'epoca lei non si accorgeva né del razzismo né dei numerosi doppi sensi.
La canzone, di Mascheroni, ebbe una certa popolarità, e venne ripresa tra gli altri da Narciso Parigi, Nicola Arigliano, dai Gufi e dall'immancabile Paolo Poli.

Sorprende vedere come, in tempi così bui e tristi come quelli in cui viviamo, i concetti in essa espressi non siano stati ripresi da qualche esponente della attuale maggioranza per giustificare, scusare o adidrittura esaltare le imprese del capo.

Ecco il testo:

Ziki-Paki era nata fra gli indù,
era figlia del gran capo di laggiù.
Bella bajadera, piccola e leggera,
somigliava al padre Ziki-Pu.

Ma un bel giorno, non so proprio come fu,
Ziki-Paki s’è trovata a tu per tu
con un tipo strano, era un italiano:
Ziki-Paki non ci vide più.
Disse: “Tu, proprio tu,
o mi baci oppur lo dico a Ziki-Pu”.

Ah, Ziki-Paki o Ziki-Pu,
l’italiano non ci stette a pensar su.
Se la prese per la mano,
la condusse più lontano
sotto un albero, laggiù:
“Dimmi il tuo nome, o bella indù”.
“Ziki-Paki sono e non scordarlo più!”.
E per meglio ricordar,
tosto lui si mise a far
“Ziki-Paki, Ziki-Paki, Ziki-Pu!”.

L’italiano spesso si recò laggiù
a trovar la bella figlia dell’indù.
Ma l’ardore passa, lei divenne grassa,
Ziki-Paki lui non vide più.
Ma in sua vece un giorno venne un grosso indù
con un bel marmocchio di color caucciù.
“Questo signorino esser tuo bambino.
Presto, fila e non tornare più!”.
E il caucciù, come fu,
somigliava tutto al nonno Ziki-Pu.

Ah, Ziki-Paki o Ziki-Pu,
l’italiano non ci stette a pensar su.
Se lo prese piano piano,
lo portò lontan lontano
al paese suo laggiù.
Appena giunto, disse:“Orsù,
dopo tutto è un italiano che c’è in più”.
E a chi stava a domandar
rispondeva: “Fu per far
Ziki-Paki, Ziki-Paki, Ziki-Pu!”.

Meglio un bimbo mezzo indiano
che passar la vita invano
senza eredi su per giù.
E, se la moda di lassù,
la nazione a popolar non pensa più
si può sempre ricordar
la canzone che sul far
“Ziki-Paki, Ziki-Paki, Ziki-Pu”!