lunedì 24 gennaio 2011

Nonna Teresa


La mia nonna materna, nonna Teresa, era nata a Trapani nel 1890. La famiglia possedeva una fornace, di cui posseggo una foto, in cui venivano prodotte terracotte (ne conservo ancora uno o due esemplari). Probabilmente fu alla fornace che mia nonna conobbe mio nonno Santoro. Quando nacque mio padre, ultimo di cinque figli, mia nonna era avanti in là con gli anni per gli standard dell'epoca (aveva 39 anni): per questo, quando la conobbi, era già abbastanza anziana. Alla morte del marito, nel 1965, aveva chiuso la camera da letto matrimoniale e si era ritirata a dormire in una stanzina assieme alla figlia maggiore, nel letto che fino a poco prima era stato di mio padre. Nei miei ricordi, lei era già un po' via con la testa: aveva smesso di uscire, e trascorreva le giornate a guardare fuori dalle persiane con lo scaldino sulle ginocchia. Quando io e mio fratello la andavamo a trovare, ci accoglieva immancabilmente con la frase"Un faciti dammaggio!" (non fate danni!) e cercava di piazzarci davanti alla televisione: invano, perché ovviamente io e mio fratello non vedevamo l'ora di andare in giro per casa curiosando e tutto toccando. Nonna si disperava e continuava a rioeterci: "Mi! Chi focu vivu!" oppure "Siti scucivoli!" (ovvero difficili da cuocere, ). Alla morte di mia zia rimase da sola, accudita da mio padre e suo fratello e da un amico di famiglia che le portava ogni giorno un po' di spesa. Un giorno questo amico ebbeun piccolo imprevisto che lo fece ritardare. Non so cosa scattò allora nella testa della nonna: fatto sta che si vestì ed uscì per andare a prendere il pane. E non fu capace i ritrovare la strada di casa. Mio padre venne avvisato dalla scomparsa di mia nonna che era ancora al lavoro, intorno all'una. Subito corse a cercarla, e la ritrovò in questura, seduta in una sedia con il pane sotto braccio. Una macchina della polizia l'aveva notata e prelevata. "Mi hanno portato in questa chiesa, ma le funzioni sono terminate" fu quello che disse a mio padre. meno di un anno dopo, cadde e si ruppe l'anca. Eravamo appena arrivati a Sciacca per una breve vacanza: mio padre fece appena in tempo a scaricare i bagagli e tornò indietro di corsa. In quei tempi la rottura dell'anca era un evento fatale: se ne andò dopo pochi mesi.

1 commento:

  1. Bellissimo, grazie! sembra di sentire rumori e odori di quel tempo.

    Nel Valdericino, a Paparella, andavamo a trovare anche noi la sorella della nonna. Era la zia "Parrina". Anche lei, con lo zio, viveva perennemente in un salotto sempre uguale, e - esperta ricamatrice - la trovavamo sempre con il tombolo tra le mani. Lo zio era uno degli ultimi "Don" del paese, u 'Zu' Carlo. Mentre i grandi chiacchieravano nella saletta, ricordo l'eccitazione nel girare per casa fino al salottino con il pianoforte dell'800, con i lumi in ferro battutto integrati...Era il Sancta Sanctorum, un ambiente gelato, perché si teneva sempre chiuso, era riservato agli ospiti più notabili. In terra c'era un preziosissimo tappeto confezionato intergralmente dalla zia Parrina. Poi arrivava il momento dei saluti, e noi sorelline aspettavamo il rude contatto delle guance grosse dello zio, che concludeva sempre "Accura, sangu meu".

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